Il Pil in Emilia-Romagna cresce, certo, ma aumentano pure le diseguaglianze. La nostra non è una regione povera, dunque, ma cresce la platea delle famiglie che sfiorano quella soglia; e cresce pure il numero di lavoratori precari e poveri, cioè senza contratto stabile e con basse retribuzioni. Lo stesso dicasi per i pensionati.
Non è un quadro roseo quello dipinto nel rapporto Ires, illustrato dalla Cgil. Nel 2023 in Emilia-Romagna il 6,8% delle famiglie residenti viveva in condizioni di povertà relativa, ovvero con un reddito inferiore alla soglia dei 1.211 euro mensili. Si tratta di una percentuale ben superiore a quella degli anni passati.
Tra le varie anomalie, quella per cui le donne guadagnano quasi 10.000 euro all’anno in meno dei colleghi uomini; ma pure l’assottigliarsi del lavoro stabile e continuativo: ormai solo la metà dei dipendenti emiliano-romagnoli ha contratto indeterminato, a tempo pieno e per 12 mesi all’anno. Peggio va a quel 38% di operaie e operai a 15.000 euro lordi annui, quindi sotto la soglia dei 1.000 euro al mese.